Sui turisti italiani
Comunque a New York ho imparato che i turisti italiani possono essere peggio di quelli visti a Barcellona, quelli in Spagna almeno avevano qualcosa di ruspante, volendo li si poteva considerare un’involuzione dei caratteristi del cinema italiano anni ’50, un misto tra Pane, amore e Fantasia, qualche film di Sordi, un po’ di Verdone, Franco e Ciccio e una spruzzata di Gigi e Andrea. Insomma, se fossimo con gli amici giusti, forse ci comporteremmo come loro.
A New York invece c’è la schiuma, come si suol dire dalle mie parti, gente che non è lì per fare il ponte, ma, come hanno detto, dicono e diranno alle amiche, per fare shopping. Loro vanno al Moma, a questo o a quel museo il cui nome potrà essere infilato in qualche conversazione. Per loro non è la prima volta, no sarà la terza a New York, ma sa, quando posso ci torno sempre.
Quelle che mi fanno più pena sono le ragazzine che crescono in queste famiglie, camminano come automi precedendo o seguendo la madre in questo o quel negozio, mangiano un gelato sedute al bar come farebbero in qualunque altra città del mondo e aspettano solo che finisca la giornata.
Probabilmente stanno pensando ad altro, alle compagnette di scuola o al tipo troppo fico di quell’altra classe. Mi chiedo allora perché portarle a New York, meglio lasciarle con le amiche o a casa, almeno avrebbero avuto la possibilità di incontrare il tipo, perché non lasciarle diventare semplicemente delle casalinghe, delle donne delle pulizie, delle segretarie di qualche studio medico, fargli sposare un qualche bravo operaio di provincia e farle vivere una vita dignitosa? Cioè sempre meglio che diventino come le madri.