Quando me la dais?
(foto originale Festa del Mais di Samuele Silva)
Nel settimo capitolo di Dieci piccoli indianirestano solo in sette sull’isola. Una coincidenza? io non credo.
Continuo a pensare che ci sia un piacere sottile nel leggere Tropico del cancro andando al lavoro la mattina a Milano.
Io ti chiavo, Tania, in modo che tu resti chiavata.
Io non parto, io sto qua, io non parto mica, non ci pensare nemmeno, io sto qui e ci sto bene. Mi metto comoda, mi rilasso, anzi sai che ti dico se mi gira mi faccio anche due minuti di sonno, anzi tre. Ahahah! Aspetta cos’è che hai detto, dicevi a me? no, vero? Ahahah!
Cosa dici? ce l’hai con me? non ci credo, tu non sai cosa vuol dire avercela con qualcuno, men che meno con me. Io! Io ce l’ho con te! Tu che mi tieni qui, al chiuso, apriamo un po’ le finestre, facciamo passare un po’ d’aria, per diamine! Areare il locale prima di soggiornare, areare il locale prima di farmi entrare. Qui è pieno di batteri e microbi, ci credo che poi non stai bene. Tu non stai bene, sei malata, tu, non io! Io sto benissimo, o almeno stavo, prima di arrivare qui! E no, che non ne torno dove stavo prima, non lo so nemmeno dove stavo prima di venire qui. Che ne so io, che domande mi fai? Imbecille. Pare che non lo sai. Io, dopotutto, sono solo un parto della tua mente malata.
(frase scelta da ‘Cesca)
(dal postjukebox)
Bius – Ci vediamo verso le dieci per un aperitivo.
Johnson – L’aperitivo alla dieci?
Bius – Ca a Salierno so’ cafune [Qua a Salerno sono cafoni]
Oggi mentre scendevo dalla metro e, libro in una mano e ombrello* nell’altra, andavo alla scala mobile ho pensato che nella prossima vita sarò zoppo, anzi zoppo, intelligente e cinico. Poi mi sono accorto che avevo descritto dottor House, volevo essere un cliché.
Così ho deciso che la prossima vita farò l’applique.
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