Integrazione culturale
Mamma milanese al figlio:
E quando esci dal ristorante giapponese devi dire “Sayonara”
Nel settimo capitolo di Dieci piccoli indianirestano solo in sette sull’isola. Una coincidenza? io non credo.
Mamma milanese al figlio:
E quando esci dal ristorante giapponese devi dire “Sayonara”
Non so perché ma avevo sempre associato questo libro a Lolita di Nabokov, quindi era sempre rimasto tra le letture che prima o poi avrei dovuto fare. Invece è un libro completamente diverso, che parte da premesse assurde, Satana va a Mosca, e continua passando da un episodio surreale all’altro, e dove non arriva il diavolo ci pensa la burocrazia sovietica.
Allora Stëpa ne fece una delle sue: s’inginocchiò al cospetto dello sconosciuto fumatore e disse:
“La prego, mi dica di che città si tratta.”
“Caspita!” rispose l’insensibile fumatore.
“Non sono ubriaco,” rispose Stëpa rauco “mi è capitato qualcosa… sono malato… Dove sono? Che città è questa?”
“Ma è Jalta….”
Sono a pagina 248 e lo sto centellinando tra metro e autobus, apprezzandone ogni pagina e scoprendomi più volte a scendere all’ultimo minuto.
Il titolo della foto l’ha dato l’autrice, che è mia cugina.
Ho una cugina cretina. Ma apprezzo, come si dice ora su Facebook.
(foto originale Il camion dei divertimenti di Ivo Pivo)
Ieri stavo facendo una cosa abbastanza cretina, nel frattempo avevo una connessione a singhiozzo e la cosa migliore che davano in televisione era Rambo III.
Così mi sono ritrovato a caricare dei file via FTP e a mormorare verso Filezilla, il computer e la connessione “dimmi, lo vuoi un calcio in culo?”
Ho usato Yahoo Pipes per qualcosa, non di utile, ma qualcosa. Ho installato plugin di wordpress in automatico, trovandomi a pregare ogni volta che la connessione reggesse fino alla fine della procedura e ripromettendomi che il prossimo l’avrei installato a mano, cosa che poi puntualmente non avveniva, perché, dai, ora la rete regge.
Ho defacciato, come dicono i lamer, mucio.net da solo, per poi darmi del cretino e risistemare la cosa.
Ho fatto una prova. E ho trovato un paio di soluzioni cercando online. Ne ho fatto anche altre e ho trovato una soluzione stronza, ma erano quasi le due e mi sono accontentato. Se fosse un blog tecnico e non avessi qualcuna che rompe quando scrivo cose un minimo complicate sarebbe interessante condividere quello che ho imparato.
Ho provato ad incoraggiare qualcuno.
Un giorno il mio amico Viski mi ha raccontato una storia che gli era capitata e lo aveva molto inquietato, è una storia strana e che alla fine non da nessun insegnamento morale, ma che lascia a tutti quelli a cui l’ho raccontata un vago senso di malessere che resta lì per giorni. Dico questo per mettere sull’avviso le donne, i fanciulli e chi è debole di nervi, non vi sto invitando a non leggere, ma magari a farlo in un luogo arioso e illuminato dal sole, dove le ombre che questa lettura potrebbe suscitare possano dileguarsi nel minor tempo possibile. I fatti si svolsero come vi racconterò.
Quel giorno Viski uscì di casa intorno alle dieci del mattino, per accompagnare Martino, un caro amico, a fare delle commissioni fuori città. Era fine giugno e la giornata era soleggiata, calda, ma non afosa. I due amici arrivarono al paesino dove i nonni di Martino abitavano prima di morire, lì dovevano prendere alcune cose nella vecchia casa di famiglia. La casa era in un vecchio palazzo abbandonato con l’intonaco scrostato in molti punti e le finestre chiuse. Entrarono nell’ampio portone, dove l’aria era più fresca ma impregnata dall’odore di cantina.
Salirono al primo piano e alla luce delle lampadine da sessanta candele entrarono nell’appartamento dei nonni di Martino. Forse perché affacciava verso sud, lì faceva più caldo e il calore insieme alla puzza di chiuso rendevano l’aria immobile. Arrivarono alla camera dove erano le cose da portare in macchina, era una stanza piena di mobili ancora più vecchi di quelli che erano in casa, scatoloni di libri, casse piene di bottiglie vuote e altro cianfrusaglie accumulate nel corso degli anni.
Mentre stavano per cominciare a spostare alcune cose il telefono di Martino squillò, il suono sembrò rimanere sospeso nell’aria a lungo. Le spesse mura della casa rendevano la conversazione impossibile, così Martino scese in strada per richiamare. Viski rimasto solo e non sapendo bene cosa prendere e cosa spostare, tornò nella cucina dove aveva visto delle sedie e si accomodò. Tirò fuori le sigarette e ne accese una.
Da solo, in una casa abbandonata, in quella luce fioca mentre il resto del mondo era illuminato dal sole di giugno, nel silenzio che gli permetteva di sentire i suoi respiri e i battiti del suo cuore, lì Viski si inquietò, pensando alla sale buie che erano al di là dalla porta aperta, a chi aveva abitato quella casa fino a morirvi dentro e a quello che stava facendo in quel momento, solo, in una casa altrui, di altri che non erano più e il fumo della sigaretta poco alla volta spariva.
Paura eh?
(l’immagine sopra è una cortesia dell’amico Bananocrate)
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