Incredibile quello che succede in questo libro
Nel settimo capitolo di Dieci piccoli indianirestano solo in sette sull’isola. Una coincidenza? io non credo.
San Valentino, Ochelata OK e alieni
Dissociativa
– Ehi Ma’ hai visto i calzini?
– Guarda nel frigo.
– Nel frigo.
– Sì, ieri il nonno non li ha finiti.
Pro loco
… perchè Ochelata offre davvero tutto al visitatore. Quindi se per caso vi capitasse di essere in Oklahoma, di avere molto tempo libero e nessuna malattia venerea venite pure a trovarci senza perdere altro…
La fine di un ciclo
– La fine dei dinosauri fu davvero dovuta alla caduta di un enorme meteorite o a sconvolgimenti climatici?
– Perchè professore, lei ha una teoria diversa?
– Immaginiamo che alla fine del Cretaceo un enorme assorbente…
– Se, bonanotte!
Affetti
– Prima di tutto complimenti per la vittoria, di certo è dovuta al duro allenamento di questi anni e al gran cuore che avete dimostrato.
– Sì, proprio così, e la vittoria di oggi vorrei dedicarla alla mia compagna che mi è vicina ogni giorno.
– Ah, è vero oggi è proprio san Valentino!
– Veramente parlavo del mio cane.
Uomini
– Ehi, Tod, hai visto che figa?
– Ma tu lo sai chi è quella figa?
– No, chi è?
– E’ Gianfilippo.
– Gianfilippo?!?
– Sì ha cambiato sesso il mese scorso.
– Però, l’ha cambiato bene.
– E adesso dove vai?
– E me lo chiedi? una volta che c’è una figa con cui parlare di pallone dopo una scopata!
Giustificazioni
– Tamara, hai studiato?
– Sì prof, tutto il pomeriggio, ma mi hanno rapito degli alieni grigi e cancellato la memoria.
– E come fai a ricordare che ieri hai studiato?
– Perché dopo avermi cancellato la memoria mi hanno detto che non avrei mai imparato niente da una professoressa cretina come la mia.
Altalena
Su e giù, giù e su,
la giostrina fa così,
lo sa il pupo
che va al parco,
e la mamma
non col babbo.
Buddha Bar
(foto di agentdclan presa da Flickr)
Esistono locali che cadono nella leggenda. Locali di cui si parla un sacco e che rischiano di deluderti, anche se sono bellissimi, solo per via di aspettative ciclopiche nate nella mente di noi poveri comuni mortali. Il Buddha Bar è il candidato numero uno.
Sei compilation di musica chill out, decine di articoli, il web invaso di gente che inneggia al Buddha Bar… e secondo voi la nostra fighetta di riferimento, in crisi da cibo giapponese a Parigi (puro pretesto, la ville lumière pullula di sushi bar) non riservava un tavolo? anche solo per poter poi dire “si va beh, ma insomma…”
Bene, siamo felici di dirvi che il Buddha Bar è assolutamente all’altezza del suo nome. Anzi, forse ne è fin troppo compiaciuto, ma in complesso è fantastico.
All’ingresso, un branco di buttafuori vi fa passare sussiegoso, e già una si sente una signora, per consegnarvi nelle mani della prima hostess, che vi indirizza al locale, piano di sopra, al bar e sushi bar galleria dell’ammezzato o al ristorante, di sotto. Non sperate neppure di trovare un buco se non prenotate.
E lì, in un tripudio di lacca nera e rossa, si apre un’immenso salone con soffitto altissimo e il gigantesco buddha dorato di circa 5 metri. In sintesi, è il posto più assurdo dove abbia mai mangiato, ma è fascinosissimo.
Gli arredatori si sono sbizzarriti a coniugare la grandeur francese con lo spirito asiatico e anche lo chef, (noi abbiamo preso il menu bento, ovvero cibo portato in eleganti scatole di lacca – la versione iper chic della schiscetta) ci ha messo del suo. Niente da dire sull’eccellenza del cibo e sulla bellezza del dolce.
Peccato che soffra, come i ristoranti francesi in genere di luci troppo basse e musica troppo alta, ma forse qui una ragione c’è. Inoltre, non è ammissibile che la cameriera di un ristorante giapponese non capisca cosa tu voglia quando le chiedi gli “hashi” (ovvero le bacchette).
Sul conto, io tralascerei, questa volta l’ho pagato io… per due, ero con mio cugino. Ma dopo tutto, la grandeur francese si paga salata… e non c’è nulla da fare.
Buddha Bar
Indirizzo: rue Boissy d’Anglas, 8 (Paris)
Telefono: 01 53 05 90 00
Sito web: http://www.buddha-bar.com/
Costo finale della cena: Non dichiarato :D
Fate le leggi non fate versi… o no?
Il 18 gennaio scorso, al parlamento del Minnesota è arrivata una proposta per istituire la figura di poeta laureato e relativa gratifica economica.
La proposta, neanche a dirlo, era in rime alternate. Vi terrò informati sull’iter della legge.
In Minnesota ci si diverte così.
La famiglia cristiana – Il padre putativo (parte 1a)
E’ bello sentire parlare di famiglia il papa, perchè come tutti i cattolici è una persona molto aperta e molto attenta ai problemi della famiglia e dei rapporti tra i membri della compongono, d’altra parte non potrebbe essere diversamente se si pensa all’importanza che questa riveste nella storia della religione cristiana.
La famiglia a cui fa riferimento il papa è davvero qualcosa di fondamentale per la nostra società, un’istituzione, se vogliamo metterla in termini di diritto civile, che ancora oggi, a più di duemila anni di distanza mantiene tutta la sua freschezza e forza aggregatrice.
La sacra famiglia, al centro di molta della liturgia e dell’iconografia cristiana, indica con risolutezza la strada da seguire.
Il padre putativo, questa figura limbica di presenza maschile intercambiabile, che può sparire quando non serve più o comparire nei momenti cruciali di accettazione sociale, esemplare modello di molti rapporti di coppia che all’inizio del terzo millennio che la rispecchiano nei suoi valori fondamentali.
La figura maschile è spesso risucchiata da un lavoro faticoso, quale quello del falegname, a cui nel duemila possiamo aggiungere anche una notevole dose di stress per il traffico cittadino, che magari a Betlemme non c’era, anche se neanche la puzza delle pecore doveva essere il massimo; la figura maschile, dicevamo, è un semplice supporto accessorio, nemmeno deputato a svolgere una naturale funzione generatrice.
San Giuseppe è una figura minore nella sacra famiglia, che ricopre un ruolo che viene a rotazione interpretato da altre figure maschili, Dio, i maestri nel tempio, Giovanni Battista, Ponzio Pilato, perfino quel Giuseppe d’Arimatea, celebre per essersi preso cura di Gesù dopo la sua morte. L’ultima volta che lo vediamo citato nei vangeli è quando Gesù ha dodici anni, poi sparisce, è andato via, è stato imprigionato da un novello Erode, è morto per un incidente sul lavoro?
Quello che sappiamo è che già nella Gallilea di duemila anni fa i rapporti padre (putativo) – figlio erano conflittuali, Giuseppe come molti padri dell’epoca avrebbe forse voluto trasmettere il suo mestiere al figlio, farne un falegname, vederlo lavorare a bottega fianco a fianco con lui, invece quello cosa fa? si fa crescere i capelli e con un po’ di compagni si mette a fare il pescatore. E ci vuol poco ad immaginare la lite tra padre (putativo) e figlio:
Giuseppe: – Gesù vieni a darmi una mano, ho molto da fare.
Gesù: – No, io non sono fatto per fare il falegname, io voglio fare il pescatore.
Giuseppe: – Il pescatore? ma quello non è un lavoro sicuro, sempre in mezzo al mare.
Gesù: – E io lo voglio fare, oppure fondo una mia religione, eppoi non posso, io c’ho le unghie delicate.
Giuseppe: – Te le do io unghie delicate? Marì, digli qualcosa!
Maria: – E dai, bello di mamma, non fare sempre i capricci, poi se fai il pescatore mamma si preoccupa.
Gesù: – Allora pescherò per terra, senti qua, farò il pescatore di uomini, bella questa eh? aspetta che me la segno. Eppoi mo non posso, ho un appuntamento con Giovanni, se me lo diceva prima.
Maria: – Peppì, quello tiene un appuntamento, pure tu però potevi pigliarti meno comande al lavoro.
Giuseppe: – Marì, mo non ti ci mettere pure tu.
Maria: – Su, Gesù, fallo contento una volta a papà.
Gesù: – Ma quale papà e papà, quello è pure putativo.
Giuseppe: – Te lo do io il putativo! Vieni subito a darmi una mano con queste travi.
Gesù: – No, no e no, nemmeno se mi ci inchiodi sopra.
E così fu.
[continua]
Nella prossima puntata: i vangeli apocrifi e il padre putativo per l’accetazione sociale della ragazza madre, la tradizione talmudica e i centurioni romani, il padre putativo oggi.
E tra due uscite in regalo il test per scoprire se sei un mammone oggi come nell’anno zero.
Mucio
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