Divieto di trattore
(foto originale Divieto di trattore di wwwmucionet)
Nel settimo capitolo di Dieci piccoli indianirestano solo in sette sull’isola. Una coincidenza? io non credo.
– Commissario, quelli i fatti sono chiari, il ragazzo è entrato per rubare, la signora si è svegliata e lui l’ha uccisa.
– E tu credi che un bambino di undici anni sia capace di uccidere una donna, di staccarle la testa a morsi e di spargerne gli intestini per tutta la camera?
– Ehm…
– Allora?
– Tenete ragione.
– Allora com’è andata?
– Credo di non saperlo spiegare.
Negli anni ottanta, quando i pelatoni non erano stati ancora sdoganati da Bruce Willis, il capello era qualcosa di fondamentale, vivere senza gelatina o lacca sembrava impossibile.
Io non ho mai sopportato niente del genere e adesso che viviamo in mondo migliore posso tagliarmi i capelli senza paura che qualcuno (all’epoca i maschi andavano necessariamente dal barbiere e le ragazze dal parrucchiere) mi proponga “mettiamo qualcosa? un po’ di gelatina?”: mi sembrava sempre di essere scortese rispondendo “no, niente”.
Oltre ai pelatoni non sopporto gli uomini che perdono più di quindici secondi per pettinarsi, i capelli unti, di gelatina o altro, e i capelli stirati.
La seconda sera a Barcellona sono in giro da solo, dopo un po’ di tempo a scegliere dove andare a mangiare mi decido a prendere una birra al Travel Bar, o qualcosa del genere, sembrava pieno di gente, invece è pieno di ragazzini inglesi in gita scolastica.
Dopo una birra tenendo un occhio su una partita e un’occhio sulle inglesi, tanto per non fare torto a Hitchcock, vado a mangiare tapas da qualche parte in una piazzetta lì vicino.
A quel punto non è che abbia più molto da fare, se non prendere la via di casa o affidarmi a quello che viene. Mi affido a quello che viene.
All’angolo una ragazza mi da un tagliandino per un chupito omaggio con un cocktail, vado a prendere il cocktail. Mi siedo al bancone, mentre la birra, la sangria e questo cocktail che sa di succo di frutta fanno effetto.
Mentre sto riflettendo sul fatto che la barista americana probabilmente sa fare solo questa cosa strana con succo di frutta alla banana, vodka o qualcos’altro, dietro di me entrano due tipi che ripetono ogni due parole un “Dio can”.
Con tutto il savoir faire alcoolico di cui sono capace inizio a farci due chiacchiere, poi la serata e continua conoscendo cinque infermiere americane, un paio di napoletani e qualche caraffa di sangria.
Alla fine, dopo aver fatto tutta la Ramba di mangiare qualcosa, con Nicola che tenta di fare amicizia con il buttafuori di un MacDonald, dal fondo della Ramba prendiamo un autobus per plaça Catalunya, questo il risultato della serata.
Scendiamo alla fermata successiva alla nostra, torniamo indietro a piedi, ci salutiamo e prendo l’autobus per tornare all’ostello.
(foto originale Barcellona 26 aprile 2007 di mucio)
– Cos’hai?
– Cosa non ho, piuttosto.
– Cosa non hai?
– Non c’ho voglia di fare niente.
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