Tokio di notte è una città incredibile, con le luci che sembrano sottare contro una cappa di velluto nero che cade sulla città, le poche macchine che corrono sulla sopraelevata e qualche voce che viene dal basso. L’ultima volta che c’ero stato la città era ancora ferita, bruciata dai bombardamenti degli americani, una città di legno distrutta da bombe di ferro.
Sarà l’aria, con il vento che spira da mare, con questo odore così diverso dal mare di qualsiasi altro posto, sembra quasi una fogna a cielo aperto, ma è l’odore di Tokio e i giapponesi che curano così tanto l’olfatto, con quella compostezza da ikebana ormai sembrano non accorgersi più del cattivo odore. Prima della guerra avevano fatto lo stesso con il loro governo e dopo avevano smesso quasi subito di guardare cosa stava succedendo intorno a loro. Tokio rimane immobile sotto questo cielo nero, da sola.
Una canzone giapponese della fine dell’ottocento diceva "Tokio, semplice come il sapore della pesca", che sia semplice Tokio ormai è improbabile, vista da qui è un reticolo di luci che ricorda Tron, forse solo i postini conoscono le strade di questa città dove non vi sono animali randagi, dove tutti indossano una divisa anche quando voglio essere diversi dagli altri.
Da qui non si vede, però in fondo a qualche strada, ci sono passato oggi, c’è uno degli ultimi chioschi che vende cibo in mezzo alla strada, una specie di carretto di legno, dove non esistono le forchette. Poco più avanti c’è un negozio di oggetti per la cucina, con tutta una serie di coltelli giapponesi prodotti in Cina, dopo c’è un negozio di cellulari e lettori mp3. Adesso sono tutti chiusi, tranne il carretto, ma tra poco chiuderà anche lui.
(continua)