L’altra notte ho fatto un sogno, un sogno limpido e chiaro, come quando la mattina in primavera ti svegli che ha da poco albeggiato e ti sembra quasi di vedere scorrere la luce pigramente sulle colline e sul verde dietro casa tua. Uno di quei sogni che sai che non sono sogni, ma finestre su qualcosa che accadrà quel giorno o domani o più in là.
E mi sono svegliato con una strana sensazione di dolcezza addosso, mi sono poggiato alla porta della cucina guardando fuori dal balcone, mentre il profumo del pane che si stava scaldando iniziava a salire. Ma il mio risveglio aveva un odore diverso, come di bagnoschiuma al latte o alla pesca e qualcosa di morbido, come la pelle della mamma di cui nessuno ricorda davvero il profumo.
Eppure il sogno era completamente diverso, ero vecchio, forse un po’ più grasso, i miei capelli erano quasi del tutto bianchi e il mio sorriso più duro e più cinico di quanto può sembrarlo adesso, beffardo però, sempre. Di solito nei sogni non mi vedo dall’esterno, questa volta però ero in un posto pieno di specchi, era l’ingresso di un bordello di quelli che sembrano usciti da un Far West o da una Parigi di fine ottocento.
Dietro un piccolo bancone c’era una biondina un po’ scialba con indosso un bustino rosso che doveva strizzarle le piccole tette così forte da non lasciarle uscire che un filo di voce. Alle mie spalle, seduti su due poltroncine di legno scuro due omoni di colore che nemmeno un dodicenne verginello avrebbe scambiato per clienti di quel posto. Mi avvicinai alla ragazza pur non sapendo cosa ci facessi lì, fingendo sicurezza per non avere problemi con i due gentlemen di dietro. Aveva gli occhi enormi di un celeste diafano che si perdevano in un mare di bianco, i capelli quasi appiccicati sulla sua testa sembravano tenuti insieme da una cuffietta da venditrice di sigarette, la pelle pallida al punto che le si potevano vedere le vene trasportare lentamente il filo di sangue che la teneva in piedi.
Stavo per aprire la bocca quando si è aperta una porta scorrevole che era quasi mimetizzata con la parete dietro la ragazza, un vocione di donna ne uscì "Mucio, figlio di un cane, finalmente sei arrivato!" seguito da puzza di sigaro e dalla sua legittima proprietaria, che in caso qualcuno non fosse stato d’accordo avrebbe legitimato tale possesso a ginocchiate nei coglioni e prese da wrestler.
Dovevo sapere chi era se mi si rivolgeva in quel modo e perchè ero lì. Non si entra in bordello dove si è chiamati per nome se non c’è un motivo. La guardai per un attimo e poi sorrisi: – come stai bellezza?
– Stavo meglio prima che mi chiamassi.
Volevo trovare qualcosa da dire per guadagnare tempo per capire dov’ero, con chi e perchè.
– Ti trovo bene. Sei dimagrita.
Aspirò dal sigaro pesando le mie parole e squadrandomi con lo sguardo, doveva avere quarantacinque-cinquanta anni ed un aspetto familiare, tanti anni prima forse, magari da giovane era meglio: – Fottiti!
– Una volta ti faceva piacere sentirti dire queste stronzate. – D’altra parte anche io ero invecchiato male.
Mi guardò in un modo che non mi piacque, non da una cinquantenne.
– Per la cosa che ti ho detto quando ti ho chiamato.
– Vieni di qua. – Rientrò nella porta scorrevole ed io la seguii.
Aveva una di quei vestiti che possono indossare solo le donne che vivono in un bordello ma non ci lavorano, forse una volta color rosso fuoco, sotto il quale si intravedeva ad ogni passo il bordo di una sottoveste bianca con i bordi di pizzo. Degli stivali con il tacco di legno lungo e spesso scandivano il suo avanzare deciso sul pavimento di legno, sarà stata l’atmosfera del posto, ma il suono dei tacchi sembrava quello di un letto che sbatte contro un muro quando si scopa o forse vivere anni in un bordello te ne fa acquisire inconsciamente i ritmi e i rumori.
All’inizio mi aveva guidato attraverso un corridoio di cui anche le pareti erano fatte in legno, ogni tanto c’era qualche porta socchiusa attraverso la quale si intravedevano frammenti di letti sfatti o con qualcuno che li stava utilizzando. Quando ci fermammo davanti ad una porta più scura, con i cardini di ferro battuto, mi voltai e in una stanza vidi una ragazza di diciotto, vent’anni al massimo, nuda, addormentata su una poltrona dai cuscini bordeaux, con un cespuglio di capelli pel di carota, la pelle chiara e le labbra rosa, lucide come una perla. La guardai da capo a piedi lentamente partendo dai suoi capelli, scivolandole sopra, sfiorandola, il piccolo seno, la curva del bacino sembrava quasi disegnata da qualcuno, le braccia abbandonate all’esterno, il pube scoperto dello stesso colore dei capelli, le cosce bianche e sode, le ginocchia appena piegate, le caviglie sottili e flessuose fino ai piedi che sembravano di marmo.
– Cazzo, Mucio. – Mi colpì una gomitata sotto lo sterno: – Sei scandaloso. Adesso ti viene duro anche con le ragazzine?
Era vero.
Aprì la porta girando una pesante chiave: – Adesso ti porto in un posto buio e ti violento – disse senza girarsi.
– Il tempo è passato – dopo averlo detto ci rimasi male, perchè avevo detto una frase del genere? forse anni prima eravamo stati insieme? o ci avevo provato?
– Sbrighiamoci – sembrava esserci rimasta male anche lei.
– Quando questa storia sarà finita ripasserò per sdebitarmi.
Si voltò e mi fece un sorriso amaro, di quelli che non impari ma che ti incidono gli anni addosso: – Questa storia non finirà mai.
Una parte di me provò l’impulso di abbracciarla, ma lei si rivoltò bruscamente in avanti e ricominciò ad avanzare.
– Certo che ti trucchi sempre uno schifo – dissi per riempire il buio.
Sbuffò e grugnì qualcosa contro di me che non capii.
Uscimmo su un ballatoio in ferro dalla parte opposta dell’ingresso principale del palazzo, c’era puzza di urina di gatto e non solo, una stretta scaletta con i gradini arrugginiti portava alla strada. Lei si fermò appoggiandosi alla ringhiera con una mano, evidentemente ora avrei dovuto dire qualcosa. Ci guardammo negli occhi e per un attimo sparì tutto, non c’era più la scala di ferro, non c’era più il bordello, non c’era la strada e i suoi bidoni stracolmi di immondizia, non c’era la puzza di fogna a cielo aperto. Erano verdi, verdi e castani intorno, da starci immersi dentro, come di fronte al fuoco di un camino, come in un bosco d’autunno, come su un prato d’estate, come se non ci fosse altro da fare che stare lì a riposarsi, come in un pomeriggio assolato, sotto un albero, quando il vento fa filtrare la luce verde del sole tra le foglie, quando le nuvole viaggiano lente e senti i fili d’erba che ti solleticano il naso, quando tocchi la terra ed è calda, come se fosse pane, quando muoversi è inutile e non vorresti fare altro che startene lì, abbracciato a qualcuna che non vuole altro che stare abbracciata con te e finisse il mondo ma tu da lì non ti muovi, perchè il mondo è già finito, lì.
– Ah, mi stavo dimenticando la cosa più importante – disse spegnendo il mozzicone di sigaro che le era rimasto tra le dita – Vieni.
Scendemmo la scala e mi portò vicino ad una saracinesca di metallo: – Dammi una mano che non la apro da un po’.
Ci mettemmo ai due lati della saracinesca e la tirammo su, da qualche parte un cane abbaiò in risposta. Alla poca luce dei lampioni della strada si riuscivano ad intravedere appena le pareti del piccolo locale, più accostata alla parete di destra era parcheggiata una macchina che riconobbi subito. Poi controllai la targa CX 193 MT e le accarezzai uno dei fari: – Ma è la Bombonera? l’hai tenuta tutti questi anni?
Tirò fuori le chiavi e me le lanciò: – L’ho fatta controllare tutti gli anni, l’ultima volta un mese fa.
Prese le chiavi, aprii: – E’ perfetta, è meglio di come te l’ho lasciata.
– Eia. Non l’ho usata molto e ci sono stata attenta.
La guardai negli occhi di nuovo, certo che dopo quel "Eia" lo notavo di più, anche dopo trent’anni lontana da casa un po’ del suo accento sardo le era rimasto e se ci facevo attenzione potevo risentirlo anche nelle altre parole che aveva pronunciato. Allora cominciai a sorridere dentro, finalmente mi ero ricordato.
Certo con gli anni appaiono le rughe, si diventa più brutti, il seno se ne scende anche se ti rassegni ad usare i push-up che a vent’anni ti sembravano inutili, la ciccia aumenta, si diventa cattivi se la vita ti porta a dirigere un bordello e se qualcuno, cioè io, ti sveglia alle tre del pomeriggio per chiederti un favore che non gli devi, ma che in qualche modo gli vuoi fare in ricordo delle risate che ti facevi una volta insieme.
– Quanto ti devo per la macchina?
– Vedi piuttosto di non farti ammazzare.
– La prossima volta che ci vediamo ti prometto che ci provo con te.
– Sei proprio scemo.
– Una volta devo avertelo scritto.
– E’ passato tanto tempo.
– Magari per la prossima volta sei cresciuta abbastanza.
E poi mi sono svegliato, con quell’odore di bagnoschiuma frammisto a sigaro che sembra essere uscito da un bordello di un secolo fa e che per ore mi è rimasto nel naso, a me che di solito non sento gli odori, come se fosse la cosa più dolce del mondo.
E’ uno di quei post che vorrei scrivere io, e a volte mi riesce pure.
Mi piace! Grazie.
mmmmmm
:������D
hauhauhuahauhauhuahua
:P
ho reso l’idea?
Gianluca: grazie, ma tu chi è?
Lù: così ti fai sgamare troppo
ma ke vuoi?ma ki ti conosce :P io nn ti ho mai visto nn so nulla di te,ho solo letto queste belle parole e mi sono…. si insomma quello ke ho scritto su :P
ti sei messa a piangere e a fare pernacchie?
Sono le 5:31 e odio dover ammettere che se me ne torno a dormire ancora un po’ penserò al tuo racconto. A quanto è bello e triste. Gli happy end non riescono così bene. O forse sì, boh, qualche volta dovresti provare a scrivere una storia felice. Ti voglio bene puzzetta.
Anche io. Ma non è colpa mia se spesso non riesco a scrivere lieti fini :(
mucio dorme mucho
mucio sogna mucio.
mucio finge di sognare quando vede il futuro.
mucio ha scritto a jane un messaggio su splinder
Senti ma quand’è che mi linki?
(nota che adesso lo metto l’url mentre stanotte l’avevo omesso per dimostrare che persino io sono capace di manifestazioni d’affetto disinteressato e non cerco sempre di farmi pubblicità)
Ma se ti ho già linkata da una vita
mucio speriamo che se la cava!
e pure jane.
Caz, non avevo visto scusa! (cit.)
:*
mucio non linka i compaesani.
Bru1: di Cava ci sarai tu
Ale: adoro il pianto greco
Bru2: in che senso?
grazie…
L’ho detto che mi piace il pianto greco
Hai la stoffa del narratore Mucho.
Cosa aspetti a ricavarne un bel completino.
Harg, harg…
…..
Vorrei prenderti le misure Luth, vieni a Rieti e ci penso io a te
Secondo me ti vuoi chiavare a qualcuna.
E su questo non ci piove, ma chi? o, più difficile ancora, chi me la da?
Ai posteri l’ardua sentenza.
rileggerla dopo un anno un pò di effetto lo fa… :P
grazie ancora mi piace proprio
6 una mente malata… :D
ciao mostro un bacio enorme!!!
Fa effetto anche a me, soprattutto in questi giorni.
Adesso che sei di là dal mare non posso venirti a sfottere e a raccontare.
La colpa comunque è tua e dei tuoi bagnoschiuma.