Qualche giorno fa, sull’autobus, sale questo tipo enorme, io ero in piedi, poco distante, così me lo sono guardato per benino: aveva due avambracci grandi come gli estintori dell’autobus, i capelli molto corti, il collo soffocato dal grasso era invisibile, la fronte sudata anche se la giornata non era delle più calde.
Quello che mi ha colpito di più, però, è stato il modo in cui era vestito, o meglio la sua camicia enorme come lui ed orribile, fatta con la stoffa più brutta mai vista in circolazione, rubata a qualche tappezziere che si vergognava troppo di usarla anche per i suoi clienti ciechi: orchidee gialline e viola su sfondo nero, una specie di camiciona hawaiana a lutto.
Se a guardarla faceva schifo, ad indossarla bisognava davvero stare male. Sotto l’orrore aveva dei jeans che dalle cuciture dovevano essere dei Levi’s, anche perché le marche polacche non fanno misure così grandi e visto che qualche settimana prima, cercando dei pantaloni, avevo girato metà dei centri commerciali di Varsavia (che poi spiegatemi come fa ad esserci qualcuno che porta che porta dei jeans 30 di larghezza e 34 di lunghezza, cos’è 1 e 90 per cinquanta chili?) mi stavo immedesimando in questo povero Cristo, nella sua sofferenza nel tentativo di dimagrire, nei suoi occhi vedevo la tristezza di essere intrappolato in un corpo che non si vuole, imprigionato in una taglia che non esiste, sentendosi umiliato ogni volta che si vede qualcosa nella vetrina di un negozio, costretto poi a dover scegliere tra quello che si trova tra gli scarti di un magazzino per taglie forti, affidandosi, senza garanzia, a cataloghi di vendita per corrispondenza o rischiando l’acquisto su internet per un modello che online sembra, forse, essere più bello, più comodo, più normale di quello che si può sperare di trovare nella propria città, sentivo tutti gli sforzi fatti per rinunciare ai dolci per mangiare solo cibo scondito, verdure alla griglia o grandi insalate, senza pane o, come usano qui, patate, l’odio verso ogni forma di sport, che diventa sollievo quando la bilancia comincia a dare ragione alla corsa solitaria e ridicola fatta nel parco vicino casa, di poco, una frazione di linea, forse mezzo chilo, ma è pur sempre un inizio.
Pensavo questo quando, alla fermata successiva a quella dov’è salito, lo vedo avvicinarsi alla porta, nella mano che prima non vedevo, coperto dalla protezione per fermare passeggini e sedie a rotelle, ha una bottiglia da un litro di Sprite, appena sceso la apre e la beve. La Sprite? con zucchero e bollicine? allora sei proprio un ciccione di merda.