E’ morto il padre dell’antropologia, quello che veniva sempre scambiato con il padre dei jeans (immaginate qui la musichetta dello spot del tipo nel motel sulla statale). Anche io volevo dire qualcosa su Claude Levi-Strauss, come faranno in molti, un racconto, una storiella, una boutade, ma mi sono accorto quasi subito, per dire non avevo ancora aperto repubblica.it, che l’avevo già scritta una cosa sull’efficacia simbolica, tempo fa.
Così vi dico una cosa sull’antropologia, perché nella mia prima vita ho anche studiato antropologia culturale con un bel ventotto, che non è il massimo, ma è comunque un buon voto sul quale brindare con gli amici aprendo una gazzosa durante una partita a biliardino; quello che so di antropologia culturale è questo, me l’ha detto qualche mio amico, probabilmente subito dopo aver stappato la gazzosa, quindi mi fido del suo parere e del suo giudizio, lui mi ha detto queste parole e io le serbo così: “se avevi la gonna pigliavi pure trenta.”
Sul libro di antropologia invece c’era scritta una cosa che reputo un piccolo passo per un uomo, cioè me, al di sotto di quelle del mio amico, ma un grande passo più avanti per l’umanità tutta. Le parole in questo caso non me le ricordo bene, però erano più o meno queste: sta bene tutto il relativismo culturale che volete, se vi pittate la faccia di nero e non di bianco, se credete che il grande spirito abbia creato prima il mare e poi la terra e non veniamo, come invece sanno tutti, dalla stella Vega e le balene sono le nostre astronavi con le quali prima o poi torneremo a casa, appena capiremo dove si infila la chiave, tutto quello che volete, però ci sono delle cose che si chiamano diritti umani che vanno aldilà di questo relativismo, che sono delle conquiste da qualsiasi punto le si voglia guardare e ci abbiamo messo qualche decina di migliaia di anni per arrivarci e ancora non sono una cosa scontata nemmeno nelle nazioni più progredite.