Oggi quando sono tornato da pranzo, sono passato come al solito davanti al bar che c’è qui sotto, è un Coffee Heaven, una catena di caffè all’americana, dove c’è gente che legge il giornale, fa due chiacchiere, prende appuntamenti di lavoro e naturalmente prende il caffè.
Superandolo ho incrociato una ragazza che ne stava uscendo e che mi ha guardato negli occhi, non è stato il semplice incrociare gli sguardi, è stata una sensazione strana, come se lei cercasse di capire se mi conoscesse o se io l’avessi riconosciuta. Non conosco molta gente qui e pochi conoscono me, non mi aspetto di incontrare dei miei amici dietro l’angolo di solito e non sembro uno di qui, quindi occhiate del genere sono rare.
Poi, quando ha distolto lo sguardo, l’ho sentita ringraziare qualcuno dietro di lei. Era un ragazzo, con il volto coperto da una folta barba nera, occhiali da vista stretti e lunghi, dalla montatura di plastica scura, a metà del naso, che mi impedivano di vederne gli occhi, labbra carnose che sorridevano con la bocca aperta mostrando dei denti piccoli e distanti. Le aveva offerto il pranzo o un caffè e lei, a parole, lo stava ringraziando mentre il suo viso e i suoi gesti dicevano tutt’altro.
Allora ho realizzato che non le interessava riconoscere me, quanto piuttosto sapere che lì nessuno l’avesse riconosciuta. E mentre mi passavano accanto mi sono fermato e ho guardato verso il bar, ho visto la ragazza alla cassa, un tipo in giacca e cravatta e una bionda con soprabito beige seduti ad un tavolino, un ragazzo col computer, due ragazze che finivano un panino e del succo d’arancia, altri due in giacca più in fondo, anche loro erano immobili. E solo sguardi tristi negli occhi degli astanti.