Finale aperto
E il principe e la principessa tornarono al castello e vissero felici e contenti, ma non per molto.
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E il principe e la principessa tornarono al castello e vissero felici e contenti, ma non per molto.
In Feltrinelli era al primo posto in classifica o giù di lì, poi degli Adelphi non mi fido mai completamente, dai tempi degli Adelphake, però, non mi ricordo dove, ne avevo letto bene e subisco sempre il fascino dei libri che parlano di personaggi.
Oltre a essere un’acciuga, era un leccapiedi, un impostore, un magliaro, un bugiardo e, cosa più grave di tutte, era noioso come le tasse.
– Se volete ancora un goccio di birra offro io?
– Be’ un goccio a questo punto non mi cambia niente.
Stordimento, ora se te ne andassi io scriverei della serata di ieri.
Sono in Italia per una settimana con la voglia di vedere un po’ di amici e recuperare i mesi di quasi asocialità varsaviana, non che io non abbia i momenti in cui voglio stare da solo, anzi di carattere me ne starei in casa dalla mattina alla sera a giocare a Civilization e a guardare molto concentrato frigo e dispensa nella speranza che il cibo si cucini da solo, il miglior amico dell’uomo solo è la piadina, a differenza di un panino gli fa credere che stia mangiando qualcosa di più.
D’altra parte è anche vero che, proprio per come sono fatto, io devo vedere gente, uscire e fare cose con altre persone, perché altrimenti mi concentro troppo su me stesso, e non ne vale la pena, e poi ho bisogno degli altri per ricaricarmi, per scaricare tensioni e stress (quanto ci piace chiacchierare) e per riprendere equilibrio. E poi c’è sempre quella faccenda del pubblico, e mi piace troppo.
Torniamo a ieri, anzi un po’ prima, settimana scorsa per la precisione, quando prendo in chat due amici di Parma e gli chiedo se gli va di vederci lunedì sera, visto che sono lì dai miei. Sì, sì, bello vederci, anche noi non ci vediamo mai, possibile che dobbiamo vederci solo quando vieni tu? Possibile? alla fine nemmeno quello direi. Ieri mattina prima l’uno, poi l’altra defezionano, così si rimanda una mail anche agli altri per dire che purtroppo, signori, abbiamo scherzato.
L’unico che risponde, un perfetto sconosciuto, mi da un nome e dice che ci sta, all’Highlander in via La Spezia, basta entrare e chiedere di lui.
Sarà che le persone che considerano un pub la loro seconda casa mi hanno sempre ispirato fiducia, sarà che i posti dove conoscono i nomi dei clienti sono davvero pochi e ben nascosti e quando ne trovi uno devi per forza segnartelo, sarà anche per il fatto che vedere gente in questo periodo è come ossigeno, malgrado non conoscessi nessuno, solo con un nome, dopo cena mi sono perso per i lavori in corso di Parma.
L’Highlander non è grande, non ha davanti un ampio parcheggio e non si può fare casino perché è circondato da palazzi. Però le birre che si possono provare all’interno bastano per finire sbronzi tutti le sere per un mese di seguito. Le due cose che mi colpiscono all’inizio sono il proprietario che sembra incazzato con la cameriera più stordita della storia e la maglietta del tipo che beve con quello che mi ha invitato lì, croce celtica, segni delle SS, altra roba strana e una scritta “white qualcosa”, insomma una magliettina sobria e delicata come una fiala di cianuro.
Ora non è che stiamo lì a sottilizzare quando si va a conoscere sconosciuti, così prendo una birra e resto a fare due chiacchiere.
[Qui c’è uno stacco in cui si vedono delle immagini varie di birra, gente e ragazzini il cui hobby è fare rumore con il motorino.]
Alla fine succede che rimango fino alle quattro, parlando e ascoltando tutti quelli che passano, da quelli che erano lì quando l’Higlander aprì nel ’92 alla tipa quasi minorenne che stupiva l’amico bevendo e fumando, sentendo storie di incidenti, di lavori e di traslochi, di fucilate nelle macchine dei terroni e di ragazze che ballano in topless sui banconi, tra un iphone e una motocicletta, tra un che fai qui e un cosa farai, farò, facciamoci un’altra birra? con magliette delle brigate rosse che salutano magliette neo-naziste, tra cantanti dai capelli rossi che si portano dietro lo scudiero e canzoni parmigiane che non fanno del buon gusto un punto di vanto, tra chi arriva tardi e chi si fa venire a prendere, tra i volantini della festa di strada di via La Spezia (andateci è domenica prossima, il 20) e la saracinesca che si abbassa dietro gli ultimi clienti che andavano via lasciandoci dentro, ancora a chiacchierare e a dire stronzate.
Era da un po’ che non facevo la chiusura di un locale e ci vuole la birra e le persone giuste per farlo, soprattutto se non conosci nessuno. Sono stato proprio bene ed era la cosa che mi serviva.
Stanotte ho fatto tardi leggendo il mio scrittore preferito, cioè io, e mi sono riletto un vecchio blog che era davvero bello, così ho deciso che si ricomincia.
In realtà appena passai su mucio.net (che prima era solo un posto dove ricevere la posta) Ennio mi disse che non mi ci leggeva bene, troppa roba, troppi fronzoli, troppi fatti miei e col tempo tutto è diventato un po’ troppo pesante, a cominciare dalla grafica. Una cosa, insomma, che avrei dovuto fare subito.
Oggi si ricomincia, cambio template (ci vorrà tempo per sistemarlo), togliamo gli orpelli inutili e asciughiamo un po’ la scrittura.
P.s. Una cosa che facevo in turativa era annunciare i titoli futuri, così ero costretto a scriverli, alle volte non li scrivevo comunque e oggi trovo dei titoli che non mi dicono proprio nulla. Quindi se a volte ci saranno dei post inutili, be’ quelli servono a me.
Il vantaggio di comprare i boxer in un negozio serio è che puoi uscire sul balcone in mutande e nessuno se ne accorgerà.
L’altra cosa che faccio sul balcone di mia nonna è riempirmi gli occhi della strada e del quartiere dove sono cresciuto (infatti ora torno fuori) e il mio cervello ne approfitta per memorizzare immagini che riutilizzerà in sogni improbabili, come quello in cui anche Obama era costretto a parcheggiare in doppia fila.
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