Pregiudizio
Da quando mi sono fidanzato con Ola mi sento molto esposto al pregiudizio da parte di amici, parenti o semplici conoscenti. Questo perché negli anni in Italia si sono creati una serie di luoghi comuni sulle ragazze dell’est e sulle polacche in particolare che sfuggirgli e davvero arduo. D’altra parte però, anche sul versante polacco, esistono tanti luoghi comuni sugli italiani, che alla fine comprarmi una camicia rosa è diventata una questione di principio.
Così, vittima di pregiudizi da entrambi i lati, ho imparato a non giudicare a priori quello che vedo intorno a me e cerco di tenere a freno la testa quando, ad esempio, vedo ragazze in coda al check-in per Varsavia il cui criterio principale per acquistare un capo di abbigliamento è quanto è visibile il nome dello stilista o della marca o che quando devono scegliere una borsa o un paio di orecchini si chiedono se è abbastanza luccicante, se brilla a sufficienza, se scendendo a cambiare un pneumatico bucato lo stanco camionista che fa Poznań – Białystok le vedrà anche da un paio di chilometri di distanza di notte, con la nebbia e i fari spenti.
L’altro giorno, per tornare a casa, ho fatto scalo a Zurigo, sul volo per la Svizzera era ovviamente pieno di germanofoni, nei posti dietro di me c’erano una tipa bionda e grassa con un bambino di pochi mesi in braccio e un ragazzo nove su dieci sudamericano, carnagione scura, folti capelli neri e viso che portava le tracce di un violento acne giovanile. Il bambino che si passavano piangeva a squarciagola, ma questo non mi impediva di cominciare a prendere sonno in fase di rullaggio.
Io non ce l’ho con i bambini, anche se piangono e danno fastidio, davvero; come davvero non penso che sei una cicciona cretina che si è presa il primo imbecille che in cambio di un permesso di soggiorno ti ha dato un po’ di confidenza; e non penso nemmeno che tu sia un deficiente perché credi di aver fatto una cosa geniale a mettere incinta la prima che si è dimostrata così stupida da farti intravedere la possibilità di guadagnarti col minimo sforzo la cittadinanza, svizzera o tedesca che sia.
Io queste cose non le penso, non le penso finché in fase di decollo non ti comincia a suonare il cellulare, perché a quel punto non credo che l’aereo cadrà, come non è caduto, ma puoi leggere nei miei occhi, quando incrociamo gli sguardi tra sedile e finestrino, tutto il mio disprezzo per te, per il tuo Motorola di merda, per la grassona che ti ha dato corda e per i genitori coglioni che si accorgerà di avere quel bambino non appena supererà il vostro livello intellettivo, più o meno intorno ai diciotto mesi.