Quando gli chiesero come una donna avrebbe potuto riportare i successi e le vittorie nella campagna militare che stava per cominciare rispose, rispose da par suo, perché le battaglie vinte con la lingua non sono meno importanti di quelle vinte con la spada, che Semiramide era stata capace di regnare sulla Siria e che le Amazzoni avevano dominato gran parte dell’Asia. Già perché, ma non sono pochi i libri di storia a tacere l’argomento, uno degli attacchi preferiti dei suoi avversari era sottolinearne la spensierata sessualità, come in senato così sui muri della città eterna.
Dovremmo arrivare alla fine del prossimo decennio per avere finalmente la possibilità di riconoscere la figura di Cesare come una delle tante identificative della cultura gay. Occorrerà ancora ripulirla dalle fantasie di fascistelli di periferia e guardarla da una prospettiva nuova, scevra dalle ombre del ventennio, figlie dell’immaginazione di qualche mentecatto ignorante, un prospettiva che sarà ormai consapevole a pieno titolo che l’omosessuale non è più l’artista, o il presunto tale, dai modi effeminati o uno dei protagonisti di una sit-com d’oltreoceano con una ragazza frigida e una donna alcolizzata e che l’omosessualità non è più un distinguo che possa impedire un’affermazione basata sulla forza della personalità e le capacità individuali anche al di fuori di stantii stereotipi in cui ancora oggi giace imprigionata.
Tra dieci anni, quando l’imposizione per la minoranza di porgere l’altra guancia e l’intelligente battuta tesa a stemperare o schernire l’attacco dell’avversario saranno dimenticati, anche i gay avranno raggiunto la condivisa consapevolezza di poter “mettere a morte” i propri avversari invece di togliergli la polvere di dosso con qualche pacca sulle spalle che vuole essere uno schiaffo.
(foto originale julius cäsar di findustrip)