Non ci sbilanciamo
(foto dell’amica Jane)
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Tra i tanti nomi brutti che i genitori possono dare ai propri figli, ce ne sono alcuni che denotano una chiare intenzione di fare male alla propria progenie, fargli avere un’infanzia difficile, un’adolescenza disturbata e un’età adultà che li vedrà protagonisti delle cronache locali come quei tali che pur sembrando tanto delle brave persone senza una spiegazione hanno ucciso i genitori, una vecchia zia paralitica e l’odiato fratello Marco, a cui i genitori avevano dato tutto anche un nome normale.
Se Erchemperto può sembrare un nome bislacco, una bambina di nome Luana prima della fine delle medie avrà imparato tutte le possibili varianti oscene dei successi anni ’70, ’80 e ’90 con rime in banana e puttana. Certo chiamarla Vera, quando il cognome è Troia o Troja, è un modo meschino per far ricadere le colpe della madre sulla figlia innocente.
Ma il nome che più di tutti noi bambini ringraziavamo di non avere, a parte le ovvie sfortunate eccezioni, inginocchiati davanti al nostro lettino tra una preghiera per far star bene l’anziana nonnina e quella di far crollare la scuola, magari su preside e corpo docente, era Clemente.
Chiunque si fosse chiamato Clemente era marchiato a vita, era, ed è ancora, visto che mentre scrivo sto ridendo, il più vergognoso marchio di infamia mai concepito da un essere umano.
Perché ve ne parlo, perché oggi è San Clemente, già, proprio Clemente.
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