Sabato santo subito
La mia sorpresa di Pasqua ha un paio d’anni meno di me e anche un paio di decine di centimetri.
Trovata dopo la mezzanotte di sabato, sul gradino davanti all’Alcool Cafè, all’altezza giusta per guardarla negli occhi, con gli stessi capelli, gli stessi occhi, lo stesso naso, forse più sottile di come lo ricordavo, mancava solo lo zaino per andare a scuola.
La mia sorpresa di Pasqua è stata tornare indietro di dieci anni. A quando avevo sedici anni, e li avevo proprio all’imperfetto, come nel libro che mi accompagnava all’epoca, a quando è semplice dare le facce che vuoi ai personaggi dei libri che leggi.
Mi piaceva la sua compagna di banco, erano in classe di mio cugino, due anni sotto la mia, stessa sezione. Era l’anno in cui ho cominciato ad essere come sono ora, prima ero fondamentalmente inutile, e sarebbe stato l’anno in cui la mia matematica avrebbe toccato l’apice e avrei scoperto che scrivere mi piace anche di più.
Se volete sapere come finì con la sua compagna di banco, vi dico solo male, non ho mai saputo come si fa ad essere carini e gentili con le ragazze e alla prima esperienza non potevo essere migliore di adesso. Fortunatamente poi arrivò l’estate e le cose andarono meglio. Lei cambiò scuola, invece la mia sorpresa di Pasqua no.
La mia sorpresa di Pasqua ha nome e cognome che per me sono un unico mantra e li pronuncio tutti attaccati, lei è carina, piccola, dolce. Anche se ha venticinque anni è uguale a quando ne aveva sedici, due esami alla laurea, un sacco di altre cose in mezzo, però uguale e io stavo lì a guardarmela e a ridere.
L’ultimo anno del liceo spesso facevamo la strada insieme per tornare a casa, fino alla fermata dell’autobus, la sua compagna di banco aveva cambiato scuola e io avevo cambiato partito, meglio le rosse delle more. E qualcuno dei compagni di merenda se lo ricorda ancora. Alle bionde ci sarei arrivato qualche anno dopo.
Quello che mi ricordo di quel periodo è soprattutto la luce del sole, ad aprile e maggio, quando la scuola sta per finire, quando sta per finire il liceo, con il cielo azzurro alle spalle della scuola. Oppure l’asfalto della strada fatta più di mille volte, due volte al giorno, in salita all’andata, in discesa al ritorno, quasi uno specchio bianco sotto il sole.
Gran parte è racchiuso in un album di polaroid a casa mia, foto e testo, non più di 11-12 foto. Una polaroid comprata davanti alla prima Feltrinelli a Salerno, appesa ancora adesso in camera mia, ogni tanto la uso ancora, presa con non mi ricordo quali soldi avanzati da cosa.
Poi io sono andato in giro e a Salerno ci sono poco e, a quanto mi dicevano, lei s’era fidanzata con uno che aveva un gruppo, musica terribile, cioè va bene il reggae, ma non quella roba terribile. Qualche volta l’ho rivista, di sfuggita, non come sabato che ci sono stato a parlare e a chiacchierare e a bere insieme, anche il suo mohito che non le andava più.
Per qualche anno, quando ero a Napoli a ingegneria o i primi tempi a scienze della comunicazione, quando ripensavo al liceo, mi veniva lei in mente e sorridevo, un po’ felice e un po’ di nostalgia. E ancora oggi mi chiedo se non mi fossi innamorato della compagna di banco sbagliata.